Negli ultimi anni la musica ha sicuramente perso il suo carattere di “collante generazionale”.
Non si tratta più di un codice identitario tra giovani che nonostante tutte le loro differenze, trovavano nei concerti, nei dischi e nelle note dei più grandi musicisti della storia un punto in comune, dei valori condivisi.
Fino a qualche anno fa ascoltare un determinato genere musicale equivaleva a crearsi un vero e proprio status sociale che spesso sfociava in rivendicazioni e pretese proprie di una cultura condivisa.
Cos’è cambiato? Perché al giorno d’oggi non si può più parlare di rock come genere musicale a sé stante e separato per esempio dal pop o dal punk?
Sicuramente una spiegazione va cercata nella miriade di sotto-generi che sono nati nella nuova era e che hanno reso molto più labili i confini tra le grandi categorie: dub, elettronica, kraut rock, post-punk etc. Per non parlare della commistione degli stessi: moltissimi cantautori/cantanti che nascono producendo un determinato genere musicale si fanno influenzare e condizionare dalle mode del momento o da suoni completamente diversi da quello che è sempre stato il loro stile per sperimentare nuove idee e raggiungere il successo.
La musica è passata da essere un megafono generazionale a cambiare completamente la propria veste sia per quanto riguarda la forma artistica sia per quanto riguarda la forma espressiva.
Si tratta pur sempre di un lavoro creativo che coinvolge professionisti del mestiere, ma manca totalmente il carattere di unione e condivisione che la musica possedeva fino a qualche anno fa.
E questo è un problema o è semplicemente un modo nuovo di intendere la musica? Forse è solo il segno di una maggiore ricchezza culturale e apertura mentale che non si limita a degli schemi, ma vuole conoscere e mettere alla prova tutte le proprie capacità.
È vero però che per i nostalgici… non sono tempi facili!